di LUIGI BRIGHIGNA
Clubino degli Eoippici
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Quello che è venuto meno all’ippica italiana e il legame con la tradizione, in assenza del quale le fondamenta dell’edificio che si va a costruire posano sulla sabbia.
Il termine purosangue, traduzione dal francese pur-sang, non esprime un valore scientifico bensì poggia su una solida base genealogica di iniziativa innegabilmente inglese. In realtà sarebbe più esatta la definizione di ‘cavallo di cui è certa l’origine’ o ‘di cui sono noti gli ascendenti’. Se l’aver ‘creato’ il purosangue si deve agli inglesi, il contributo italiano a questa operazione avviene nel Rinascimento quando eravamo il riferimento culturale per l’intera Europa.
Fonti storiche ci dicono che durante il regno di Enrico VIII, siamo nella seconda metà del 1400, il Marchese di Mantova, volendo sollecitare favori dal Sovrano inglese, dovette affidare al suo ambasciatore presso la corte, Baldassarre Castiglione, due regali: una tela dipinta da Raffaello e una delle fattrici del suo allevamento di cavalli. C’è di più: Enrico per migliorare le sue razze in Inghilterra sollecitò dei cavalli berberi dalla duchessa Caterina di Savoia che li aveva fatti venire dalla Spagna. Più tardi la regina Elisabetta I incaricò il conte di Essex di ottenere dall’Italia istruzioni sul come migliorare l’allevamento reale. Essex ingaggiò a Napoli un cavallerizzo, tale Prospero d’Osma, che redasse un testo in cui sottolinea gli errori precedenti degli inglesi e spiega i miglioramenti da apportare secondo le sue esperienze italiane. Federico Tesio, che è la fonte da cui ho tratto queste interessanti notizie, afferma di averne letto copia.
Si arriva al 1600, secolo nel quale compaiono i primi testi che contengono tracce scritte degli antenati di cavalli adatti alle corse. Nella seconda metà del 1700 è dato alle stampe l’insostituibile libro delle nascite dei cavalli, lo Stud-Book.
L’evento a cui si attribuisce la nascita dell’ippica moderna avviene nel 1776 in Inghilterra, precisamente a Doncaster, dove si disputò e si disputa ancora oggi il St. Leger, prima corsa di purosangue ad essere ufficialmente riconosciuta ai fini della selezione della razza. Non so citare i nomi di quanti promossero l’evento. Mi è impossibile perché non esiste in Italia una biblioteca ippica specializzata e non c’è un museo dell’ippica. Una carenza a mio avviso significativa. Chi guarda al futuro ignorando il passato fa un’operazione mediocre destinata prima o poi al fallimento. Si, perché qualsiasi attività umana per mantenere un significato e progredire necessita del confronto tra quello che si sapeva prima con quello che si andrà a conoscere. Di qui il valore fondamentale della tradizione, una parola poco amata nel nostro Paese, fortemente rispettata in altri.
Dopo secoli e secoli nei quali l’uomo ha costruito il suo progresso sulle zampe dei cavalli, dopo il St. Leger Inglese dunque, l’ippica diventa sport e scienza sperimentale a tutti gli effetti, perde di approssimazione inserendosi nel panorama scientifico mondiale come una settore degli studi genetici. Di fatto, pur non conoscendo ancora il DNA gli ippici dell’ ‘800 ne studiavano empiricamente le sue conseguenze nel manifestarsi dei caratteri. Gli allevatori in primo luogo, ma anche i proprietari, gli allenatori, i fantini furono e sono a tutti gli effetti sperimentatori o come si dice oggi ricercatori. Nel 1793 James Weatherby iniziò in Inghilterra la pubblicazione del General Stud-Book, il libro genealogico nel quale quasi tutti i cavalli menzionati, che prendono il nome di thoroughbred ossia ‘convenientemente allevato’, sono di origine orientale.
Non per caso Federico Tesio, l’allevatore la cui opera selettiva marca ancora oggi l’allevamento mondiale tramite Nearco e la sua discendenza, scrisse un volume che si intitola ‘Il purosangue, animale da esperimento’. Si tratta di un testo pieno di osservazioni originali e di suggerimenti, nel quale l’umanista filosofo si fa scienziato meticoloso.
Del resto fin dal suo apparire l’uomo, il grande consumatore egoista di questo pianeta, si è rivolto al mondo vegetale e a quello animale mirando sempre più consapevolmente a selezionare nell’ambito delle singole specie gli esemplari più fruttiferi nell’un campo e proliferi nell’altro. Tende cioè a modificare le specie per trarne un vantaggio pratico.
Il concetto di selezione per caratteri non è un’arma di prevaricazione come gli stolti ancora oggi asseriscono, ma è una legge che si inserisce nella dinamica universale a cui tutti i viventi vanno soggetti, pena l’estinzione della specie. L’uomo ha il compito di adeguarsi e gestirla, non di sovvertirla con artifizi, cosa del resto ineludibile.
Seguendo l’esempio inglese Firenze fu la prima città dell’intera Europa continentale ad organizzare nel 1827 corse di purosangue; prima ancora di Parigi, di Roma e di Milano. Le riunioni di corse si tennero all’interno del Parco delle Cascine, inizialmente in quello che è oggi chiamato il Prato del Quercione. Solo più tardi fu costruito a fronte del Quercione un ippodromo vero e proprio, il Visarno. La più importante e dotata competizione fiorentina fu da subito la Corsa dell’Arno che rappresentò la maggior prova di selezione dei purosangue inglesi in Italia fino all’istituzione del Derby Reale Italiano avvenuta nel 1882 a Roma. L’anno della prima edizione della Corsa dell’Arno è stato fissato per alcuni al 1827, ma altre date mi sono state riferite, così come ho potuto raccogliere indicazioni per le quali nei primi anni una corsa con tale denominazione si sia tenuta a scadenza semestrale.
Accettando come valida la data sopra indicata la Corsa dell’Arno ha preceduto di 9 anni il Prix du Jockey Club francese, di 39 anni l’Irish Derby, di 62 anni il Gran Premio di Milano. Il Premio Pisa risale al 1885. Ma c’è di più. Un dato sorprendente e che illustra i meriti ippici della Firenze lorenese è che Nameless, di proprietà di Sir Joseph Hawlewy, dopo aver vinto la corsa dell’Arno del 1840 fu capace, una volta ricondotto in Inghilterra, di generare quattro vincitori del Derby di Epsom. Chi volesse conoscerne i nomi può consultare l’interessante saggio di Franco Varola ‘Il mito di Tesio’ edito in italiano da Equitare.
Nel 1852 nacque con sede in via Tornabuoni la società del Jockey Club di Firenze, il 10 Aprile del 1871 si corse nell’ippodromo di Firenze il Derby Reale Italiano per cavalli di tre anni, nati e allevati in Italia. Come si vede in Italia la passione per l’ippica agonistica ha preso sostanza all’ombra del campanile di Giotto. Il merito della Toscana e di Firenze in particolare è dunque incontestabile, anche se Barbaricina, piccolo comune della periferia di Pisa dal lato mare ne ha soppiantato il primato regionale come paese dei purosangue. Ciò grazie alla attigua tenuta di San Rossore, già di proprietà reale, oggi Parco regionale, al cui interno il Re d’Italia volle fossero costruiti un ippodromo e piste di allenamento.
Ai primi dell’800 furono i ricchi mercanti inglesi di stanza a Livorno per i loro commerci a portare la voglia di corse nella Toscana, subito raccolta dalla nobiltà cosmopolita della Firenze governata dalla Corte illuminata dei Lorena. Vi emergevano personalità quali il principe polacco Poniatowsky, il russo Demidoff, gli inglesi Hubant e Lord Burghersh, Ministro Plenipotenziario, il marchese Torrigiani, il marchese Corsini, il conte Antinori, il marchese Capponi, i quali assieme con altri gentiluomini si fecero promotori delle prime riunioni di corse. La passione si radicò ed estese tanto che l’ippica divenne sport seguito con sempre maggiore successo da tutte le classi sociali.
Da sempre le più rappresentative scuderie nazionali hanno inviato loro portacolori a partecipare alle corse toscane di più antica tradizione.
La Corsa dell’Arno, per decenni del novecento con la proposizione di handicap libero costituiva il primo confronto dell’anno tra gli anziani ed i neo tre anni non tanto buoni da poter partecipare al ciclo classico. Questi ultimi rappresentavano il pepe della corsa, destinati a movimentarla e renderla sommamente incerta nel risultato com’è lo scopo di questo tipo di corsa. Se ne avvantaggiava il volume del gioco e lo spettacolo. Tra i proprietari plurivittoriosi della Corsa dell’Arno cito: F. Turner (8), De Larderel (7), Poniatowski (6), Chantre (5), Siba (5), Demidoff (4), Rholand (4), Mezzanotte (3), Sansalvà (3), Carter (3), Ghigo (2), La Marmora (2), Mantova (2), Cieffedi (2), Blueberry (2).
Il Premio Firenze, che si correva in Aprile, rappresentava uno dei trials di preparazione dai quali uscivano i candidati al Derby Italiano. Erano soprattutto i rappresentanti delle scuderie del nord che nel loro trasferimento verso la capitale approfittavano della sosta al Visarno per assicurarsi un ben remunerato ingaggio. Tra costoro meritano di essere ricordate due tra le più qualitative femmine uscite dalla fucina di Dormello: Astolfina, vincitrice nel 1948 e la splendida saura Marguerite Vernaut. Quest’ultima l’anno successivo, il 1961, dominò le Champion Stakes di Newmarket davanti alla vincitrice delle 1000 Ghinee e delle Oaks inglesi Never Too Late. Un doppio successo vanta la Razza di Vedano con Cortez e Radetsky.
Nella seconda metà dell’ 800 la passione per l’ippica agonistica contagiò le classi più abbienti delle maggiori città toscane. La storia ippica di Pisa inizia dopo che nel 1829 Leopoldo II aveva fatto disegnare la pista degli Escoli, così ponendo i presupposti per programmare una organica stagione di corse. Il 3 Aprile 1854 la prima riunione di corse si svolse sotto l’egida della Società per le corse dei cavalli costituita ufficialmente il 18 Agosto del 1853, firmatari alcuni dei personaggi sportivi più in vista dell’epoca, il marchese Mastiani Sciamanna, il marchese Costabili, il barone di Lowemberg, i principi Demidoff e Poniatowski. Il successo fu immediato.
Una seconda società con il nome Alfea comparve successivamente, il 30 settembre 1891, sotto l’impulso del trainer Thomas Rook, del conte Scheibler e di Giacinto Fogliata veterinario della Real Casa, ponendosi così in competizione con la prima. Essa aveva come obiettivo le gestione delle corse autunnali dei cavalli a Pisa.
Nel 1898 avverrà sotto il nome di Alfea la definitiva riunificazione tra le due società sportive.
Con gli anni Barbaricina, quartiere periferico lato mare, diviene ‘ il paese dei cavalli’, riconosciuto dal Jockey Club come centro nazionale di allevamento. Vi nascono nuovi complessi residenziali finalizzati all’attività ippica.
Dal 1943 al 1945 Barbaricina e San Rossore subiscono le devastazioni delle piste e delle scuderie operate dai bombardamenti aerei. La ripresa dell’attività ippica avviene l’anno successivo per iniziativa di pochi appassionati che danno vita alla nuova Alfea sotto la presidenza di Roberto Supino. Gratificata da un clima, mediterraneo, da piste di allenamento eccellenti e per la collocazione centrale nella penisola la tenuta di San Rossore divenne il centro di svernamento preferito da tutte le maggiori scuderie italiane ed anche da allenatori stranieri. Tra questi nel 1967 Vincent O’Brien, il più noto e vincente tra gli allenatori irlandesi, vi portò Sir Ivor per fargli affrontare nelle migliori condizioni ambientali la preparazione al Derby inglese dell’anno successivo. Il puledro appartenente a Raymond Guest, Ambasciatore degli Stati Uniti in Irlanda, vinse con la monta di Lester Piggot.
Ribot, Braque, Marguerite Vernaut e tanti altri campioni furono ospiti di Barbaricina durante i mesi invernali, contribuendo ad affermarne l’importanza.
Inserito nella programmazione al termine del periodo di svernamento e prima del rientro negli ippodromi metropolitani il premio Pisa ha rappresentato la corsa di rientro per i soggetti destinati al ciclo classico italiano. Nell’Albo d’oro del premio il nome di Federico Tesio compare come proprietario vincitore per ben 16 volte, la Dormello Olgiata e la Razza del Soldo 9 volte ciascuna, 4 volte la scuderia Aurora. Con l’affermazione nel Pisa del 1955 il formidabile Ribot iniziò la carriera di tre anni conclusasi nell’autunno con l’affermazione nel suo primo Prix de l’Arc de Triomphe a Longchamp.
Oggi Pisa ha sostituito quale centro gravitazionale del galoppo in Toscana il capoluogo di regione. Riunendo in un unico ippodromo le attività di entrambi i settori, galoppo e trotto, Firenze ha perso proprietari, strutture e iniziative adeguate al suo prestigioso passato.
A Livorno nell’agosto del 1868 nacque la ‘Società livornese per le corse dei cavalli’ con il fine statutario di giovare al perfezionamento delle razze equine, un intento anticipatore del processo di sviluppo dell’ippica livornese con orizzonti regionali e prospettive nazionali, tale da essere poi ripreso dalle più note società ippiche. Le va riconosciuto questo merito. Nell’elenco dei soci fondatori della livornese compaiono i nomi più noti della città: i conti De Larderel, il barone Franchetti, il barone Lumbroso, gli Aloisi, gli Orlando, gli Uzielli e altri. Il 30 Agosto di quell’anno fu subito organizzata la prima riunione ufficiale di corse da tenersi nel campo di esercizio della guarnigione, davanti alla odierna stazione ferroviaria. Fu festa grande, popolare, com’era nelle occasioni della visita dei Sovrani. Quel giorno rimasero deserti i rinomati bagni Pancaldi frequentati dalla classe nobiliare e buona parte della città: tutti, titolati e non, furono attratti dalla novità delle corse. Ebbe così inizio un periodo nel quale anche a Livorno due eccellenti fruste, Thomas Rook e Ranieri Galletti, l’uno inglese di Newmarket l’altro originario della provincia pisana, furono i protagonisti di memorabili duelli spartendosi la popolarità presso gli appassionati.
Fino al 1883 la Livorno ippica conobbe un primo periodo d’oro richiamando parecchi dei migliori purosangue in attività in Italia. I portacolori di Casa De Larderel e di Casa Talon ottenevano successi in serie. Dando prova di lungimiranza fu istituito il Criterium dell’Avvenire riservato ai puledri di due anni. Don Giovanni, un debuttante agli ordini di Rook, divenuto allenatore in seguito ad un incidente che gli precluse l’attività agonistica, vi si affermava per i colori del conte Gastone De Larderel. L’anno successivo Don Giovanni riporterà anche l’importante Premio Firenze al Visarno confermando la sua qualità,
Altri soggetti importanti di quei tempi furono Casalecchio, vincitore per i Talon del Premio della Meloria del 1880 e della Corsa Nazionale del 1882, e l’importato Flyng dominatore nel 1883 del ricco Premio del Tirreno.
Poi per sette anni non si corse più per la inadeguatezza della pista valutata dal Jockey Club Italiano troppo dura e quindi pericolosa.
Nel 1890 le corse furono riprese, sia pure in tono minore con convegni non ufficiali che permisero tuttavia alla passione per i purosangue di non spegnersi. Si deve ad un direttivo comprendente il Cav. Maurogordato, il nobile Traxler, il conte De Larderel, l’avv. Micaleff, il cav. Santoni, i sig.ri Gianni, Pannocchia e Cave-Bondi la risurrezione delle competizioni ippiche che avvenne quattro anni dopo con l’inaugurazione del nuovo ippodromo, sorto nel terreno del parco della villa Cave-Bondi all’Ardenza messo gratuitamente a disposizione dai proprietari. L’evento si avvalse di un battage pubblicitario della stampa che coinvolse l’intera città. Non si scrisse né si parlò d’altro per giorni. I commercianti gareggiarono nel decorare i loro negozi con oggetti ippici. Ci si preparava ad un esordio che fu formidabile, per sfoggio di eleganza tra la ricca classe nobile e per partecipazione popolare. Le cronache del tempo dicono siano stati presenti all’ippodromo non meno di ventimila persone.
Dopo alterne vicissitudini, anni di interruzione e riprese felici, si arriva al 1936 quando, ministro il conte Ciano, l’ippodromo dell’Ardenza passa al comune di Livorno e la società di gestione prende il nome di Labronica. Il rilancio dell’attività ippica avviene con un importante ammodernamento architettonico e tecnico dell’intera struttura che si avvalse di un impianto di illuminazione eccellente. Ai 25 box preesistenti ne furono aggiunti altri 140 nuovi che permisero la permanenza stabile dei cavalli. L’ippodromo, che venne intitolato a Federico Caprilli, diviene così il teatro all’aperto delle notti estive livornesi. Nel 1937 vince il Criterium Labronico il formidabile Bistolfi, uno dei più forti campioni allevati da Federico Tesio. Bistolfi l’anno successivo conquisterà a Parigi il Prix d’Ispahan nello stesso giorno in cui il campionissimo Nearco vincerà il Gran Prix de Paris. Due successi che collocarono l’Italia ippica sul tetto d’Europa.
Due sono le prove che rappresentano la tradizione storica e il valore tecnico dell’ippica nell’odierno Caprilli. Di esse la più antica (1894), il Premio Livorno, è stata appannaggio della Razza del Soldo addirittura per 8 volte, di Tesio per 5 volte, della scuderia Aurora 5 volte, della Scuderia Rencati 4 volte (tutte con Scabiun), del commendator Ramazzotti 3 volte.
Il Criterium (1895) comparve l’anno successivo. Nel suo Albo d’oro troviamo la Razza del Soldo per 5 volte, la Scuderia Mantova per 4 volte, Tesio e Sir Rholand per 3 volte.
Agli avvenimenti già citati si aggiunse a partire dal 1937 la Coppa del Mare, grosso handicap divenuto con l’andar del tempo la prova di maggior richiamo della riunione estiva. 3 sono stati i successi colti della Razza del Soldo e dell’avvocato Paolo Mezzanotte.
Nel 1993 per la prima e ad oggi unica volta i due handicaps più ricchi della Toscana, la Corsa dell’Arno e la Coppa del Mare, sono stati vinti dal medesimo cavallo: Bandol appartenente alla scuderia Jerome e allenato da F. Ferramosca.
Come si vede tutte le nostre scuderie più prestigiose del novecento hanno messo il loro sigillo sulle prove livornesi di maggiore prestigio.
La Maremma è terra dei butteri, gente che ha i cavalli nel sangue e il merito di aver selezionato una razza autoctona, maremmana, che viene impiegata nella gestione delle mandrie bovine. Inevitabile quindi che i nobili possidenti dei latifondi di quel comprensorio abbiano subito il fascino delle corse dei purosangue fin dalla loro comparsa in Toscana. Nella città di Grosseto nacque la Società Maremmana Corse Cavalli che entrò a far parte del Ciclo toscano assieme alle tre già citate e che oggi dispone di un ippodromo, il Casalone, costruito nel 1925. Nella prima metà del secolo scorso gli allevamenti dei purosangue della maremma raccolsero notorietà e successi anche negli ippodromi metropolitani. Mi riferisco principalmente alla Razza Pescaia dei conti Tolomei, agli effettivi dei marchesi Talon, alla razza del Casalone dei Ponticelli.
Dal 1974 il Canalone si avvale di un impianto di illuminazione che permette le corse in notturna.
Oggi l’attività ippica grossetana è più connessa alle scuderie romane attive a Capannelle che non con quelle toscane ed ha nel Premio Grosseto la corsa di maggiore richiamo della riunione estiva in piano. Tra i vincitori degli anni recenti spicca una nota internazionale prestigiosa, quella delle femmina Lyph (1989) appartenente a Sheik Mohammed. Corse sul percorso in ostacoli vengono programmate al Casalone durante il periodo invernale.
Per questa ragione mi sono limitato alle presenti note, lasciando ad altri il compito di approfondire l’aspetto più propriamente agonistico.
RIFERIMENTI
CELATI Gianpiero, 1968 - Cento anni di corse a Livono (1868 - 1968). Belforte Grafica.
JOCKEY CLUB ITALIANO 1881 – 1981. Derby edizioni.
VAROLA Franco, 2004 - ‘Il mito di Tesio’ Equitare.
Parte di questo scritto è comparso sotto il titolo In riva all’Arno le radici del galoppo sul Trotto & Turf del 12 Maggio 2016.