Confusione

Mesi fa, bloccato nel traffico, ho sentito in radio la Canzone Contro La Paura del cantautore Brunori Sas, il cui nome pare quello di un'azienda. Anzi, il cui nome è quello di un'azienda, più precisamente la ditta di pulizie di suo papà che gli permise di tirare avanti quando non era ancora famoso; oggi egli se ne ricorda, facendole pubblicità col suo nome d'arte.

Insomma questo Brunori è un tipo che merita. Ecco come inizia il suo pezzo: scrivo canzoni poco intelligenti, che lo capisci subito, non appena le senti: canzoni poco consistenti, per chi non ha voglia di ringhiare, canzoni tanto per cantare - canzoni che parlano d'amore, perché alla fine dai, di che altro vuoi parlare.

 

Così io immagino Brunori che si dedica a cose superficiali, agli hobbies. D'altronde persino Aristotele scriveva di ammirare chi "sa cose importanti, difficili e divine, però inutili". E, se è per quello, io stesso ho un sacco di interessi futili, ciascuno perseguito disordinatamente.

Mi ci dedico senza restarne del tutto soddisfatto, mai: rimango sempre con la sensazione di non riuscire a fare fino in fondo ogni cosa che vorrei. In sintesi, ho tante passioni inconcludenti.

 

In tutta questa inutilità una delle mie preferenze va alle corse di cavalli, diventate una parte della mia esistenza. Ogni giorno ritaglio un momento per pensare a una corsa, a un pronostico, a una scommessa; a quel certo Gran Premio, a un campione del passato o chissà, del futuro. Quei minuti - beh, mezz'ore - persi a scorrere forma dei cavalli o cronache di corse mi appaiono irrinunciabili.  Come ogni ippico che si rispetti voglio lasciarmi coinvolgere, per credere di essere più informato degli altri.

Eppure quest'anno mi sono allontanato dalle corse. A momenti ho temuto che fosse una separazione definitiva, e non ho memoria che mi sia mai capitato prima. Mentre sono qui a scrivere non ricordo assolutamente chi ha vinto i Derby francese e  tedesco. So chi ha vinto quello inglese e a stento chi quello irlandese (corsa di cui però mi sfugge il secondo arrivato). Ho un'idea chiara sul Kentucky Derby, ma solo perché nel 2018 c'è stato un vincitore speciale. E del Derby Italiano? Beh, il cavallo l'ho presente, ma per ricordarne il nome ci ho impiegato un po'.

Se siete dei profani vi parrà normale. Se invece siete degli ippici, allora forse state per fermarvi qui: crederete che io sia un fanfarone, uno che le corse le segue solo a parole. Ma aspettate un attimo, lasciate che vi spieghi.

 

E' che i Derby si corrono a Maggio, e quest'anno a Marzo ci sono state elezioni politiche che hanno prodotto un governo lontano anni luce dalle mie idee, la qual cosa mi fa diventare matto. Non riesco ad attribuirgli, al governo, alcun merito, se non quello di aver svegliato la mia coscienza sociale, facendomi ritrovare la passione che mi tenne alto il cuore da giovane, quando credevo di essere una persona migliore di quella che sono oggi. Così ho ripreso a pensare ai problemi degli altri, a discutere e a combattere; in realtà non combatto granché, ma almeno sogno di farlo e di associarmi a una qualche azione di opposizione, magari clandestina.

Odiare il governo mi ha fatto ritrovare la mia antica passione politica e un nuovo entusiasmo che assecondo con slancio, illudendomi di riequilibrare il fatto che idee  come le mie sono diventate minoritarie nell'elettorato.

 

Di colpo, tutto questo trasporto politico ha azzerato le altre mie passioni. Non solo le corse dei cavalli, che disertavo nonostante abbia un ippodromo magnifico proprio dietro casa. Anche le gare sportive amatoriali, in cui mi impegno da anni: quest'anno le facevo ugualmente, ma senza metterci cuore. Andavo alla partenza della domenica mattina del tutto privo di concentrazione. Una volta (giuro che è vero) mi sono persino presentato tardi a una nuotata in un lago, obbligando gli organizzatori a farmi partire con la batteria successiva. Gli avversari, un centinaio, ridevano a crepapelle. Alla fine non sono neppure andato a controllare come mi ero classificato.

E la lettura? Leggevo, ma male. Avevo iniziato La Zia Julia e lo Scribacchino, il romanzo che ha procurato il Nobel a Mario Vargas Llosa; mi piaceva - parla di ciò che si è e di ciò che si vuole diventare -  ma procedevo lento: per finirlo ho impiegato settimane. Di norma non sarebbe accaduto, mai.

Quest'anno sono stato parecchio fiacco, sul fronte dei passatempi.

 

La canzone, a metà, cambia passo. Brunori parla di un qualcuno a cui egli tiene molto, che però non è d'accordo con la futilità della sua musica. Dice: invece no, tu vuoi canzoni emozionanti, che ti acchiappano alla gola senza tanti complimenti. Canzoni come sberle in faccia per costringerti a pensare, belle da restarci male. Canzoni da cantare a squarciagola, canzoni che ti amo ancora - anche se è triste, anche se è dura- canzoni contro la paura

 

Già, contro la paura.

Brunori ha scritto la sua canzone prima delle elezioni, ma certo si era già accorto di  dove tirava  il vento. Seminano la paura su ogni problema, in primis sull'immigrazione. L'argomento si presta, facendomi indignare come italiano. Però funziona, si abbocca all'esca dei politici populisti e si entra per davvero nella spirale della paura, cessando di desiderare un mondo migliore.

Mentre ascoltavo la canzone, io invece pensavo di ribellarmi, sognavo la rivoluzione e, nello stesso istante, mi allontanavo dai miei hobbies. Li vedevo inutili credendo irragionevole esserne coinvolto: non li sentivo più miei.

Poi è venuta l'estate, che mi ha fatto cambiare  prospettiva.

 

Una volta la gara a cui partecipavo era una faccenda ciclistica nel mezzo delle Dolomiti. Si partiva di mattina presto e dopo un'ora di corsa mi sono ritrovato in cima al Pordoi assieme a migliaia di altri ciclisti dilettanti: dovevamo scendere verso Canazei e, prima di giungere a valle, deviare a un bivio che ci avrebbe condotto alla cima del Passo Sella. Sapendolo, ho preso velocità in discesa per godere di un bella rincorsa all'attacco della nuova salita; quando l'abbrivio si è esaurito, ho abbassato la testa riprendendo a pestare sui pedali. Ritrovato il ritmo, ho alzato lo sguardo.

Erano le otto: il sole era alto in cielo e un fascio di luce illuminava la montagna di fronte a noi, vicina; no, vicinissima, incombente e stupefacente. Un inglese che pedalava al mio fianco, vedendo la mia espressione, ha sorriso: unbelievable, isn't it?

Era difatti un attimo incredibile e memorabile, fatto per rammentarmi che lo sport costa sì fatica, ma non abbastanza da farmi perdere di vista che mi ha condotto per l'Italia, mostrandomi posti e persone di cui altrimenti non avrei mai e poi mai goduto.

Lo sport è una passione vana, almeno per me che non vincerò mai, però impagabile.

 

Anche nel libro della Zia Julia, a un certo punto, succede qualcosa.

Uno dei protagonisti del libro è un autore di commedie radiofoniche: storie tutte avvincenti e così diverse tra loro da catalizzare l'attenzione del pubblico della stazione radio che le trasmette (dove appunto lavora l'altro protagonista, quello innamorato della Zia Julia). A un dato momento, senza che il lettore ne sia avvisato, i personaggi delle varie commedie cominciano a ingarbugliarsi, ciascuno per suo conto. All'inizio sono dettagli: per esempio, un certo dottore viene citato col cognome giusto ma col nome sbagliato. Oppure ha il solito nome ma sembra aver cambiato specialità: doveva essere un ortopedico, di colpo è diventato un oculista. Chi ha il libro in mano resta vagamente dubbioso, poi torna sulle pagine precedenti per controllare se aveva letto bene, o se magari gli è sfuggito qualcosa.

Intanto il fenomeno diventa progressivamente più evidente. I personaggi iniziano a scambiarsi di nome creando una baraonda dell'accidente: in breve si ritrovano con nomi sbagliati e all'interno di commedie diverse da quelle di cui erano protagonisti: lì capisci che tutto accade perché il commediografo è impazzito e l'autore -Vargas Llosa, non quello delle commedie- ha disorientato deliberatamente il suo lettore.

Nel frattempo l'altro autore (lo scribacchino protagonista del libro) realizza a sua volta che c'è qualcosa che non va, e ansioso di eliminare l'errore inizia a cercare pretesti per eliminare tutti i suoi personaggi, in modo da evitare che il pubblico della radio si accorga della sua follia. Non fosse che quelli riappaiono, con nomi, mestieri e inclinazioni diverse, in altre nuove storie, complicando la vicenda in modo esilarante. Si viene tanto avvinti da quell'effetto da sperimentare un senso di euforia. Vargas Llosa ti trascina in un vortice: scommetterei che il Nobel l'ha vinto proprio per quel motivo. La confusione dura poco, una trentina di pagine: è quel che basta per rammentarti quanto sia bello leggere.

In un libro, ci puoi entrare proprio dentro. Quando avviene senti che ne è valsa la pena.

 

Infine, i cavalli. Ogni estate, a York, c'è questa vecchia riunione molto tradizionale, in cui corrono invariabilmente cavalli molto forti e molto famosi. Anche se sono in vacanza, cerco sempre di sapere i risultati di York: magari di vedere i filmati dei suoi Gran Premi, cosa diventata possibile grazie a internet e agli smartphones. La sera, su un qualche sito specializzato, si può sempre  trovare il replay di giornata: ed è una festa, dopo tanti anni passati a rincorrere i tabellini dei risultati, spesso senza riuscirci. Quest'anno York ha mostrato due cavalli che mi hanno fatto sognare: un maschio, Roaring Lion, e una femmina, Sea Of Class. Nelle rispettive corse, mi hanno ricordato come vince un campione con la C maiuscola.

Al Campione la corsa viene sempre bene. Si aprono le gabbie e come per  magia egli si trova proprio nella posizione che il suo allenatore aveva previsto. Poi si sviluppa la corsa con un'andatura che pare proprio essere quella ideale. Certo, in testa si è portato un altro, ma sembra che quello imponga un ritmo proprio appena sufficiente a rendere dura la vita degli avversari e appena insufficiente ad affannare il nostro, che è tutto nelle mani del suo fantino. Il quale pare quasi annoiato, immobile in sella com'è. Il traguardo si avvicina e il comportamento del Campione non cambia. Sdegna la corsa, come se non lo riguardasse.

A un certo punto il fantino si scuote. Deve essersi ricordato del montepremi in ballo o degli ordini dell'allenatore, non è dato saperlo. Fatto sta che accompagna il cavallo nella posizione ideale, la trova quasi subito, lo chiama all'impegno.

In tre secondi chiunque capisce come andrà a finire: gli spettatori in tribuna, i proprietari dei cavalli in corsa, gli appassionati davanti alla tivù. Anche i fantini degli altri cavalli, poveretti, di colpo ci appaiono mortificati.

E' il soffio della classe. Il Campione la possiede, gli altri no. Magari sono cavalli buoni, magari buonissimi. I Campioni sono quell'altra cosa, quella dentro i tre secondi in cui essi volano via gli avversari, facendoti venire un brivido dentro la schiena.

Dopo quell'istante  - di solito mancano ancora un paio di centinaia di metri al traguardo - il Campione continua a distaccare gli altri cavalli più o meno rapidamente. Non ci si sono comunque dubbi, la pratica è sistemata e resta solo da annotare il numero delle lunghezze che lo dividerà dalla plebe equina.

I filmati delle corse di York li ho visti sul piccolo schermo di un telefonino, che per un ippico è un po' una schifezza, perché i cavalli (cioè la cosa davvero importante) non si vedono benissimo. Però ci voleva.

Ora me lo ricordo bene cosa c'è dietro le corse dei cavalli: che qualcosa di più superfluo non si riuscirebbe neppure ad immaginarla, se non ci fosse quell'emozione lì. Fidatevi, altrove non la troverete.

 

C'è gente che non può essere troppo ordinata: io, nella confusione, ci sguazzo. Sono confuso nel pensiero, nelle mille cose che faccio, in quello che scrivo. Mia mamma diceva che sono un pasticcione.

A volte non mi ci raccapezzo e spero di cambiare, prima o poi.

Altre volte invece mi sembra che non si possa fare altrimenti. La mia vita è una ricetta complicata: prendi una dose abbondante di ingredienti seri in cui metterci il cuore, come la famiglia. Poi aggiungi un bel pizzico di futile: canzoni tanto per cantare. E lo mischi con gli ingredienti principali, che avresti dovuto tenere separati; in pratica fai confusione, proprio perché la ricetta prevede che si faccia così.

 

Alla fine del pezzo la musica si quieta e Brunori ammette di aver avuto torto. Ci sono canzoni che ti danno la forza di ricominciare: a volte basta una canzone, solo una stupida canzone, a ricordarti chi sei.

Manco c'è più la musica, mentre lo canta, diavolo d'un Brunori.

 

Andava tutto male, stavo anch'io per cadere nel gorgo della paura  Poi, non lo so se per merito della canzone, del governo inviso o di una bella estate, mi sono ricordato di un insegnamento ricevuto in famiglia: essere coerenti con le proprie idee.  Poiché sono contro la paura, qualcosa farò.

E comunque voglio ancora bene a miei libri, a miei cavalli, ai miei sport.

Avevo solo fatto confusione.