L'altra metà del cielo
Quanto spreco di carta di giornale per trasmettere ovvietà e presentare l'informazione sotto il suo aspetto più triste e ingannevole, la pubblicità scadente, fastidiosa, di un evento, una notizia. Perché sembra immorale presentarlo, per una sorta di assurda, ingiustificabile par condicio, e sotto l'aspetto del nero e sotto quello del bianco. Tutto sembra diventato cultura, il banale quotidiano soprattutto, ossia l'antitesi della cultura stessa. E allo scopo di farla digerire l'ultimo espediente per attirare l'attenzione del lettore consiste nel spolverarla con qualche termine straniero.
Si è reso necessario da parte di un direttore di giornale tecnico ippico il ricordare in un articolo 'le regole della comunicazione', una sana lettura che il Monsignor de La Palisse avrebbe rivendicato come uscita dal suo pensiero. Leggo, e non posso dissentire, anzi, che un evento sportivo di grande rilevanza, si costruisce se ne esistono i presupposti: ovvero la tradizione e la qualità degli interpreti che innescano il sincretismo tra interesse degli sponsor, partecipazione, tifo, scommesse. Chi più di me ha il polso della situazione ha ritenuto fosse necessario ricordarlo alla moltitudine di lettori disattenti.
Tutto vero ...... ma limitato nell'analisi. Altrettanto essenziale e durevole, esiste anche l'altra metà del cielo: ovvero da quale cucina far uscire la pietanza. Già, perché questa seconda metà consiste nel rispetto, nella attenzione alla forma, che si dovrebbero portare nei riguardi di chi poi, in ultima analisi, garantisce i mezzi economici per mandare avanti 'la baracca' come si usa dire: il pubblico, gli interessati, i tifosi frequentatori. L'ostacolo, ad oggi rivelatosi insormontabile, è la pigrizia che caratterizza quanti si sono scelti un'attività non tanto o non soltanto per competenza o passione per il cavallo, bensì motivati dalla prevalente necessità di sbarcare il lunario, ovvero le società di gestione tramite convenzione degli ippodromi, un tempo strutture accoglienti e dignitose, ora non più. Una sorte di indolenza nel fare, una mancanza di progettualità specifica che si affida al sostegno delle sovvenzioni pubbliche per campare. Con il risultato di snaturare gli impianti all'aperto degradandoli a sale corse o poco più, dove trovano spazio il gioco delle carte, l'elementare burraco, il bingo, e mercati eterogenei.
Sarà dovere improcrastinabile della controparte pubblica interrompere una volta per tutte questa politica del versare elemosine a vantaggio di gestioni privatistiche per far campare gli sprovveduti in ottemperanza alle più recenti interpretazioni della democrazia. Non confondiamo le fierucole di paese con l'ippica.