L’incerta sorte del galoppo a Firenze

Sono trascorsi quindici anni da quando Cavalli & Corse pubblicò la mia prima presa di posizione su ciò che si ventilava di fare allora dell’ippodromo fiorentino del Visarno e mi trovo, ahimè, a far sentire nuovamente la mia voce sulla ripresentazione di analoghe assurde proposte facenti parte del bando pubblico che il Comune di Firenze ha stilato a proposito del rinnovo della concessione in uso dell’ippodromo stesso. Segno questo che nel nostro Bel Paese si è persa la percezione di una semplice ma basilare verità biologica: la vita è dinamismo; perseverare nella staticità vuol dire arretramento e morte ineluttabili.  Errare humanum est, perseverare diabolicum.

Un assioma. Le corse dei cavalli  sono un evento popolare nel senso che interessano, magari con diversa misura, tutte le classi sociali. Non possono venire trattate alla stessa stregua di giostre e fenomeno di baraccone.

Armiamoci di pazienza e rinnoviamo l’appello. Che l’ippica non sia un settore essenziale per il Paese Italia lo riconosco anch’io che sono un appassionato del settore galoppo. Tuttavia, siamo obiettivi, questo sport non ha mai generato più guasti, scandali, imbrogli e morti di quanti non ne abbia prodotti il calcio nella versione odierna. E per moltissimi anni ha  finanziato lo sport in generale. La scommessa è nata  sull’evento ippico e non foss’altro per questo gli si dovrebbe riconoscenza. Non ghettizziamo il mondo dei cavalli e la sua cultura.

L’ippica a Firenze non rappresenta certo un’isola felice nel panorama generale, anzi. Se per il settore trotto c’è sempre stata una certa sinergia di interessi tra i due poli toscani rappresentati da Firenze e Montecatini, non altrettanto si può dire per il galoppo dove il capoluogo regionale ha dovuto sempre subire la concorrenza di Pisa, la città che avvalendosi del centro di svernamento di Barbaricina  e delle piste del Parco di San Rossore ha via via guadagnato terreno sulla concorrente.  Merito di una vocazione societaria che non disperde le sue energie su due fronti, ma anche delle capacità propositive e delle iniziative dell’Alfea.

Lo scadimento del galoppo a Firenze è fondato in due eventi precisi. Il primo, la disastrosa esondazione del fiume Arno avvenuta nel Novembre del 1966, non risparmiò neppure l’ippodromo ottocentesco del Visarno creando danni tali alle piste che neppure i numerosi interventi di bonifica del terreno e del manto erboso sono riusciti ad eliminare del tutto. Occorreva ricostruire ciò che la natura aveva distrutto: caratteristiche tecniche, strutture di gestione e accoglienza. Il secondo evento sommò danni a danni, consistendo in un rifacimento, o rimodernizzazione, della logistica e delle tribune, che – si era nel periodo nel quale i criteri di selezione secondo meriti venivano aborriti, considerati un retaggio del passato reazionario – venne eseguito frettolosamente secondo l’architettura in voga allora: mai produzione fu di altrettanto modesta qualità estetica e funzionale. Con tale zavorra ricevuta in eredità le società di corse che nel corso degli anni si sono poi succedute nella gestione dell’ippodromo hanno tentato rattoppi dimostratisi inconcludenti o velleitari. Con assoluta ignoranza della gloriosa storia  dell’ippica italiana nata proprio nell’antistante prato del Quercione, si è ribattezzato in Le Cascine l’ippodromo del galoppo che un nome fiorentinissimo e glorioso lo aveva di già, appunto il Visarno, ossia in vista dell’Arno. Insomma anziché cucire delle pezze  al malfatto bisognava rifare in vestito intero. Ma in questo avrebbe dovuto cooperare il proprietario dell’area, ossia l’Amministrazione comunale, con una lungimiranza e un’attenzione che non ci sono mai state. Il settore è così specifico e abbisogna di tale passione che la mentalità del burocrate non può non risultare miope e trascurata nell’affrontare i suoi problemi.  In più l’ippica, ricordata spesso come “lo sport dei re”, non è certo nel cuore di una Firenze pigra e dalla vocazione repubblicana.

E’ di pochi giorni fa la proroga di un anno che a concessione scaduta il Comune di Firenze ha offerto alla società di gestione attuale, ma le pretese contenute nel nuovo bando di  affidamento sono apparse a tutti fuori della realtà attuale dell’ippica e fanno temere il peggio. Polemiche e insinuazioni non sono mancate, non prive di credibilità.

Ma per risolvere i problemi le polemiche sono inutili e un anno passa in fretta. C’è dunque bisogno di discutere su sensate proposte concrete. Ammesso che i nostri governanti non vogliano distruggere l’ippica italiana come pare stiano facendo senza neppure accorgersene coloro che essi hanno messo alla guida del settore, e allora l’argomento sarebbe chiuso, l’ippica a Firenze deve uscire dal ghetto delle Cascine.  Mi immagino lo strepito di quanti hanno un sol argomento per contrastare l’affermazione testé pronunciata: dall’ippodromo del galoppo si vedono spuntare da sopra la cortina di lecci che lo delimitano addirittura il campanile di Giotto e il Cupolone. Sotto il profilo tecnico  trovo l’argomento  addotto addirittura comico.  Sarebbe come a dire: “dall’ippodromo di Ascot non si vede Westminster Abbey, dunque abbandoniamolo.” Una simile scemenza verrebbe punita con la permanenza a vita nelle segrete della Torre di Londra. Da noi neanche a parlarne.

Non facciamoci illusioni. La dov’è ora il galoppo a Firenze non ha altre speranze che vivacchiare senza orgoglio fino a che indecorosa morte non sopraggiunga per asfissia. Non un vero parcheggio, niente aree di allenamento, niente corse di selezione, piste strette, visuale per il pubblico ridotta, sistemazione logistica errata. Vogliamo di più? Non stiamo parlando di un museo, ma di una cosa viva che deve adeguarsi a tempi nuovi. Non rendersene conto è sancire una condanna a morte.

Bisogna dunque programmare lo spostamento dell’ippodromo del Visarno altrove; in un’area  dove possano sorgere anche piste di allenamento, parcheggi e servizi adeguati  alla modernità.  Mc Donald da un lato e  raffinati  Ristoratori dall’altro andrebbero coinvolti. Chissà che la provincia pratese, dove i cinesi, grandi giocatori,  garantirebbero un bacino d’utenza rilevante e forse anche investimenti a supporto dell’iniziativa, non voglia essere della partita. Comunque questo non può essere il traguardo dell’immediato, bensì quello a medio o lungo termine.  Nel frattempo urgono soluzioni transitorie, interventi che non possono essere troppo onerosi, ma devono comunque migliorare gli aspetti tecnici, la funzionalità, l’accoglienza attuali.  Solo a tali condizioni il pubblico sarà di nuovo invogliato.

Tanto per offrire motivo di dibattito suggerisco:  l’inversione del verso di corsa da destrorso ad antiorario, il che solo permetterebbe di ricomporre funzionalmente tondino di presentazione, dissellaggio,  servizi generali (segreteria, sala delle bilance, sala fantini, direzione e sala degli stewards)  con tribunette come in origine, ossia secondo logica.  Chi va all’ippodromo deve poter seguire tutte le operazioni preliminari alla corsa e non solo la competizione nuda e cruda. Così si gusta appieno lo spettacolo, così ci si appassiona. I vecchi frequentatori dell’ippodromo sono scomparsi e di nuovi non se ne sono formati. Tra le ragioni anche l’eliminazione sciocca delprato’, il settore in cui le intere famiglie, ragazzi compresi, andavano a ‘picnic’. Tutto ciò potrebbe venire approntato in breve tempo, con costi ridotti, nel mentre si manda in pensione, demolendola, la grande tribuna dalla quale solo pochi spettatori, quelli sul fronte, riescono ad avere la visuale dell’intera corsa.  Una struttura insulsa, inutile e ingombrante, un esempio clamoroso di ciò che non doveva essere fatto.

Qualcuno dirà: “C’è una soluzione più semplice. Trasferiamo la riunione fiorentina a Pisa, e non se ne parli più. Posso anche convenirlo, ma a patto  di costruirvi un altro ippodromo, perché con l’uso le piste si deteriorano rapidamente  e se si vuole regolarità di risultati ci vogliono adeguati intervalli di sosta per ripristinare il giusto manto erboso. In Inghilterra ciò avviene tramite la rotazione degli ippodromi secondo le regole dei ‘meetings’. Da tre a cinque giornate di corse da una parte, poi via in un altro ippodromo. Ma in Italia?

Ho gettato il sasso nello stagno. Qualcuno se ne accorgerà?

Luigi Brighigna