Io non tengo le frequentazioni del Caronna e non ho i suoi trascorsi  internazionali, pertanto mi devo adattare ai camarones a la plancha (gamberoni) che si gustano al Bellinghausen della zona rosa di Mexico City. Ma vi assicuro che non hanno nulla da invidiare alle aragoste del Maine citate da Giorgio. Una spruzzatina di succo del lime e via. Con il contorno di papas fritas e innaffiati con birra Corona sono un piatto da re. Ve ne servono tanti  sul vassoio che fareste fatica a finirli.

Negli USA le corse al galoppo hanno un  buon richiamo di pubblico. Il ciclo classico  avviene sul dirt anziché sull’erba, ma la severità degli impegni seleziona anno dopo anno campioni veri e grandi riproduttori. Con il risultato di attirare, grazie a ben orchestrate campagne pubblicitarie l’interesse anche al di fuori della vasta cerchia di appassionati e  giocatori.  Quest’anno per esempio c’è già un progetto di campione tra i nuovi tre anni: Pyro, un figlio di Pulpit in allenamento da Asmussen, quindi vicino di box del grande Curlin. E’ questa la realtà del Nuovo Mondo che intriga Caronna.

Per motivi di studio botanico io sono costretto a scendere oltre nel panorama geografico del continente americano. Non sono gli avvenimenti elettorali o comunque politici a condurmi out of the border, al di là del confine sud. Le fumose promesse dell’affabulatore Obama (“discorse” le avrebbe definite il prof. Enzo Ferroni, grande maestro di Chimico-Fisica all’università) possono incantare solo i bambinoni americani. Quanto all’ex pimpante Hilary  Clinton ha il fiato grosso e capacità non pari alle ambizioni.

Come avvenne per lo scrittore Emilio Cecchi è al Messico che guardo, allo straripante barocco currigueresco  delle lignee cascate di intarsi dorati nelle sue antiche chiese, agli stridenti contrasti sociali della singolare democrazia incompiuta, alla sua crudeltà palesata nelle vestigia Azteche di Teotihuacan e Palenque. Quanto ai cavalli, i messicani non battono il cuore per il purosangue inglese da corsa. Penso che lo considerino troppo popolare. I ricchi signori, quelli che possono fregiarsi del don per intenderci,  selezionano cavalli da concorso ippico perché sono ottimi cavallerizzi, oppure quei cavalli che verranno montati dai picadores nella corrida, a tuttoggi lo spettacolo più seguito. Al cittadino messicano che fosse appassionato delle corse non rimane altra frequentazione se non quella dell’ippodromo di Santa Anita, ovvero oltrepassare il confine ed entrare nel territorio scippato dai texani ai legittimi proprietari.

Scavalcata la fascia centrale del continente, è nel meridione che ritroviamo i Paesi ippicamente più progrediti. Un fatto logico se si pensa alle favorevoli caratteristiche dei loro territori. Le sterminate pianure, l’esistenza del latifondo favoriscono l’allevamento del bestiame da carne ma anche dei purosangue. Argentina, Brasile e Cile  possiedono radicate tradizioni ippiche. Il Carlos Pellegrini, corsa di gruppi I che si corre all’ippodromo Palermo di Buenos Aires, viene considerato l’Arc de Triomphe del sud America. I tre anni e gli anziani sono chiamati a percorrere la severa distanza dei tremila metri, suppergiù come nela Melbourne Cup. Perché nei Paesi nei quali l’ippica è gestita con il cervello ci si guarda bene dall’accorciare le distanze come avviene da noi. Di conseguenza i risultati fioccano e si guadagna. I mercanti statunitensi, ed oggi anche gli onnipotenti (economicamente) notabili arabi,  acquistano a piene mani  fior di campioni usciti da quelle selezioni.  Uno sopra tutti quell’Invasor di Hamdan al Maktoum che poi vinse la Dubai World Cup.

 

Sir Galahad